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Casa Gallo

A cura di Daria Ghirardini e Gabriele Salvaterra
2013

*Casa Gallo* - Copertina: immagine di un interno con una tela su un muro. In alto il nome.

Daria Ghirardini: La trama del colore

Rolando Tessadri ci propone un’arte complessa, che non può essere colta in modo esaustivo al primo sguardo, ma che richiede tempo e attenzione per riuscire ad afferrare, almeno in parte, le numerose vibrazioni cromatiche e strutturali che ne sono parte costitutiva.

Le sue opere richiamano alla mente, per la presenza di reticoli ortogonali tracciati sulla tela, l’astrattismo geometrico ed i lavori di grandi maestri del contemporaneo come Nigro e Dorazio, e riescono a trasmettere una forte componente lirica grazie all’utilizzo del colore.

I lavori presentati in questa occasione espositiva costituiscono differenti momenti all’interno di un percorso artistico continuativo e coerente, che si muove alla ricerca di una nuova semanticità ed affonda le proprie radici in un linguaggio rigoroso ed essenziale.

Le Tessiture, che devono il proprio titolo alla presenza in ognuna di esse di una griglia ortogonale - che fa affiorare nella memoria dell’osservatore il ricordo della trama dell’ordito dei tessuti - sono realizzate da Tessadri applicando dei pigmenti colorati sulla superficie della tela, al di sotto della quale in precedenza vengono fissati fili da cucito paralleli l’uno all’altro, secondo direttrici verticali ed orizzontali. Il colore viene in seguito asportato con delle racle, delle spatole morbide utilizzate anche nella tecnica della serigrafia, secondo un processo che definisce un delicato equilibrio di addizione e sottrazione delle tonalità cromatiche.

Attraverso questo procedimento, simile a quello del frottage, Tessadri imprime nei propri lavori la matrice delle griglie regolari, che si presentano al contempo reiterative e mutevoli e nelle quali il colore affiora alterandosi in diverse variazioni cromatiche che risultano vivificate e rigenerate nel proprio incontro con la luce. Le maglie di questa rete di colore appaiono maggiormente compatte o rarefatte a seconda della distanza che l’artista applica tra i fili, e acquisiscono variazioni luministiche e tonali in assidua e scambievole variazione, guidando l’occhio in un inesauribile esercizio percettivo.

Tessadri riesce così a trasmettere l’urgenza di un’espressività che non si può più affidare a uno spazio volumetrico chiuso, ma che, composta di rette ed estensioni interagenti tra loro in una dimensione che rimane sospesa, cerca di scandagliare gli aspetti più vitali e dinamici del vissuto. Le Tessiture non si limitano, infatti, a mettere insistentemente in evidenza una essenziale schematizzazione di tipo geometrico; esse sembrano, piuttosto, voler superare le restrizioni date dai vincoli della geometria stessa, spezzare la norma consolidata senza tuttavia infrangerne le regole.

Tessadri individua lo spazio, e non lo delimita, grazie all’avvicendamento di campiture piene e vuote in un costante gioco di contiguità e distanza che forma un molteplice amalgama nell’intersecarsi delle rette orizzontali e verticali, per propria natura strutturate e geometricamente ordinate. I segni tracciati dall’azione compiuta dall’artista aprono la via a un differente percorso di visione e conoscenza, riportando in immagine la componente temporale, o almeno un frammento di essa che ineluttabilmente ci appare sfuggevole nel proprio farsi tempo in divenire.

Pur essendo l’elemento che organizza concettualmente la componente costitutiva e imprescindibile dell’opera, ciò che perdura sulla tela e sotto il colore, la griglia, una rigorosa sequenza di tratti tra loro inseparabili, non esaurisce in sé la tensione comunicativa, ma diviene il primo passo, fondamentale e fondativo, in un percorso che determina eterogenee riflessioni spaziali e temporali.

L’organizzazione esatta e controllata delle trame dei fili, a cui Tessadri dedica una cura meticolosa, genera flussi e stasi cromatiche dalle quali emerge la percezione di un tempo che inevitabilmente è caratterizzato dall’introspezione; un tempo durante il quale l’occhio segue il fluire del colore, cogliendone modulazioni continuamente nuove e differenti e procedendo lungo i percorsi designati dalla luce in vicendevoli movimenti dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra e ritorno.

L’artista fa sì che il confine dello spazio chiuso e definito della tela appaia allora più evanescente, sguardo dopo sguardo, attraverso un percorso percettivo assiduo e graduale dettato dal colore stesso.

Gli stessi toni scelti da Tessadri non colpiscono l’occhio nel tentativo di catturarne l’attenzione sin dal primo istante. Essi non si presentano violenti e chiassosi ma, controllati e moderati, invitano a un’azione che non sia solo quella di vedere o guardare, quanto piuttosto quella di aprirsi a cominciare un’esperienza. Le cromie, infatti, si differenziano a partire da una base comune che presenta diverse intensità di grigio e che si modula nelle gradazioni del giallo o del rosso, per arrivare nei lavori più recenti a stesure di bianchi più o meno intensi.

Le variazioni tonali, sebbene ben definite, appaiono quasi impalpabili e si manifestano in modo discreto e mitigato invitandoci ad entrare in una dimensione temporale altra, in cui il tempo scandito dal presente si percepisce ovattato e attenuato: un tempo nel quale l’osservatore possa cogliere le vibrazioni luministiche e tonali lasciando che le sensazioni, i ricordi e le emozioni affiorino in superficie.

Il modulo, pensato elemento geometrico reiterato fino a istituire una norma compositiva, viene costantemente utilizzato da Tessadri ed allo stesso tempo incessantemente contraddetto, per restituire nel fare artistico la possibilità di un percorso ipotizzabile ed eterogeneo, all’interno del quale lo spazio si mostra come un luogo silente e lontano, che rimane sospeso nell’energia effimera della luce e fa in modo che la trama ortogonale si stemperi fino quasi a svanire nel colore, che progressivamente si disvela.

In questo peculiare percorso, caratterizzato da un complesso accordo tra progetto e sinteticità essenziale, mai disgiunto da un ritmico dialogo con l’ambiente circostante, l’artista sceglie di amplificare la percezione accostando diverse opere, sovrapposte o affiancate le une alle altre, per dare forma a delle strutture quadrate o rettangolari.

Le sue composizioni si snodano secondo direttrici verticali o orizzontali all’interno delle quali ogni singolo elemento compositivo è concepito come parte integrante e interagente di un insieme in cui l’elemento specifico, pur mantenendo tutta la forza della propria identità originante, acquisisce un valore diversificato rispetto ad una creazione complessiva. In questi nuclei compositi le diversificazioni e le variazioni, presenti e ben definite già nelle singole opere, si incrementano e traggono nuovo vigore.

Tessadri organizza i propri lavori in modo tale che all’interno delle composizioni una stessa cromia si moduli virando nei toni del grigio o del bianco attraverso una gradualità lieve e regolare e l’incontro con la luce generi una maggiore intensità percettiva dell’insieme. Egli lascia, infatti, che la luce doni nuova vitalità e dinamicità alle tonalità morbide, fatte di contrasti minimi, e lasci trasparire in scala maggiore la struttura geometrica elementare in tutto il proprio nitore, mettendo in atto un dialogico e scambievole gioco di rimandi che attiva i nessi e le connessioni comunicative tra gli elementi contigui e i diversi gruppi di opere.

Le connessioni e i legami tra l’essenzialità del gesto, lo studio della luce, la volontà di aprirsi a un nuovo spazio e di sondare la dimensione del tempo sono espressioni costanti di un’arte che non si dissolve nella ripetitività di dogmi assoluti e chiusi, ma si fa ipotesi rappresentativa di un processo generativo sempre in divenire.

Nel caso di Tessadri lo sguardo interroga incessantemente la superficie, ma non riesce ad esaurirne gli impulsi sottesi e le sollecitazioni cromatiche che appaiono al contempo fisse nel colore d’origine eppure in continua variazione tonale. Sia il ritmo della composizione ortogonale che la modulazione del colore nelle singole opere, come nelle sequenze, invitano a una temporalità immanente, disgiunta dalla rapidità del presente quotidiano per poter cogliere i frammenti di un’arte che stenta a lasciarsi disvelare del tutto.

Tessadri cerca di guidare l’osservatore in un tempo sospeso in cui gli attimi vengono scanditi dalle vibrazioni del colore lasciato scivolare sopra e oltre la trama delle proprie opere.


Gabriele Salvaterra: Minimalismo caldo

Davanti agli occhi si trova solo un quadrato. Le sue misure sono regolari: è ritmato da linee equidistanti e parallele che scandiscono precisamente la superficie senza errori o sbavature. Nulla è lasciato al caso e non c'è spazio per alcuna soluzione che non sia attentamente premeditata. Il processo di realizzazione di questi lavori è infatti controllato e non permette spiragli al caso o all'invenzione fuori da regole. La superficie che ne risulta, così ortogonale, non allude a niente oltre a sé e può apparire muta o addirittura respingente.

Parlando in questi termini dei quadri di Rolando Tessadri sembra che non ci sia molto da dire. C'è poco, tutto è presente, tanto che potrebbe sembrare possibile conquistare questi dipinti in maniera molto semplice: è tutto talmente dichiarato da non lasciare spazio ad alcuna descrizione oltre a quella più superficiale ed esteriore.

Questo imbarazzo può ricordare quello ben più noto di Jean François Lyotard nei confronti delle tele di Barnett Newman in cui Tutto è presente a tal punto da divenire un problema per i commentatori. Che dire che non sia già dato? La descrizione è semplice, ma piatta come una parafrasi [1].

Chiaramente questa lettura unicamente letterale dei lavori di Newman consiste piuttosto in un’estrema semplificazione, tant’è che lo stesso Lyotard, partendo da questo incipit, continua sottolineando come l’opera di questo artista, spesso salutato come l’anello di congiunzione tra l’espressionismo astratto e le ricerche minimaliste, ordinatore dell’impeto gestuale nel rigore strutturato, sia costellata di innumerevoli ambizioni spiritualistiche e romantiche che scomodano addirittura concetti ottocenteschi come il sublime.

Intendendo osservare questi influssi come apporti di maggiore ricchezza verso l’opera, piuttosto che come vizi alla sua presunta purezza, anche per Tessadri il discorso è simile pur nella sua specificità. Dietro l’apparente pulizia post-minimalista dei suoi lavori si nasconde molto di più del semplice vuoto contenutistico. Sulla scansione regolare della loro superficie si appoggia una complessità e un disordine maggiori di quello che farebbe supporre la loro rigida organizzazione formale.

Già altri commentatori [2] hanno sottolineato gli indizi di questa complessità notando come l'arte di Tessadri si serva di mezzi tecnici teoricamente freddi per ottenere effetti contrari. Se infatti l’impiego della griglia dovrebbe assicurare l’annullamento di qualsiasi rapporto con la narratività, la sensualità e la piacevolezza a favore di un discorso rigoroso e freddo, in questo caso l’effetto ottenuto è molto diverso dai presupposti di partenza.

L’incrociarsi ortogonale delle linee è sfumato, leggermente fuori fuoco, e suggerisce impressioni non soltanto visive ma anche tattili. L’intreccio lineare sembra intessuto con materiale fibroso e porta con sé connotazioni di calore, accoglienza e morbidezza, che appartengono più al dominio del tatto che a quello storicamente più legato alla griglia, della vista.

Questo perché i lavori di Tessadri non rientrano totalmente nel dominio della griglia per come è stata teorizzata da Rosalind Krauss [3], quanto piuttosto, e i loro titoli ce lo fanno notare esplicitamente, in quello della tessitura e dell’intreccio. Già questa nota sgombra il campo dall’astrazione totale visto che, nonostante in questi quadri non venga rappresentato nulla nel senso tradizionale del termine, è presente un referente - la tessitura - che da un certo punto di vista permette una lettura di queste opere come illustrazioni iperrealiste di trame e tessuti.

Questo approccio porta i lavori di Tessadri a svilupparsi su un sottile confine tra astrazione e figurazione che gli permette di ottenere una paradossale referenzialità in un ambito decisamente astratto. Qualcosa di impuro si agita quindi sotto l'apparenza ordinatoria e asettica di questi quadri e la griglia di Tessadri sembra avere più a che fare con l’universo femminile e sensuale delle carte di Agnes Martin o con l’ambito della tessitura di artiste “corporee” come Eva Hesse o Magdalena Abakanowicz, che con il rigore assoluto dell’astrazione più intransigente.

Si tratta di un minimalismo caldo in cui i codici dell'astrazione storica e del minimalismo degli anni sessanta vengono impiegati e contemporaneamente forzati per inserire un discorso più vasto, in cui si ricerca ancora il piacere per la pura vibrazione luminosa del colore e per il potere seduttivo ed emotivo del pigmento.

Oltre a questo livello di lettura legato ai sensi, è possibile individuarne uno più analitico e metatestuale in cui le superfici dei lavori di Tessadri proprio per la loro qualità illusoria e referenziale, diventano un ulteriore terreno di analisi degli elementi formanti del quadro [4]. Sull’intreccio reale della tela viene dipinta, con un linguaggio ai limiti dell’iperrealismo, la trama della tessitura. La tela fisica diventa così supporto della tela rappresentata mentre il lavoro dell’artista si trasforma in un’illustrazione, una fotografia illusionistica, degli strumenti stessi che sta utilizzando nella sua pratica.

In questa sorta di corto circuito e paradossale mise en abyme, in cui sullo stesso supporto materiale si incontrano la tela reale e la tela dipinta si risolve un’ultima analisi del quadro, spinto ormai a diventare supporto per la rappresentazione di se stesso, alla ricerca del senso che si è sedimentato nei secoli in quella sottile epidermide che chiamiamo superficie, tra scatola prospettica e piano, tra rappresentazione e presenza.


[1] Lyotard Jean-François, L’istante, Newman, p. 51 in Barnett Newman (2010), Il Sublime Adesso, Abscondita, Milano, pp. 47-62.

[2] Guadagnini Walter, Di tramandi e altre cose, in Igino Legnaghi. Rolando Tessadri, catalogo della mostra, Ars Now Seragiotto, Padova, 23 marzo - 15 maggio 2010, pp. 5-10.
Bonomi Giorgio, Le griglie emozionali, in Aa. Vv. (2007), 09. Rolando Tessadri, Nicolodi editore, Riva del garda, pp. 8-11.

[3] Krauss Rosalind E., Griglie, in Krauss Rosalind E. (2007), Grazioli Elio (a cura di), L’originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti, Fazi Editore, Roma, pp. 12-27.

[4] Menna Filiberto (2001, I ed. 1975), La linea analitica dell’arte moderna. Le figure e le icone, Einuadi, Torino.
Vicenza


Gabriele Salvaterra: Nota contestuale

Tutte le opere d’arte sono in qualche maniera contestuali, non fosse altro che per gli umori che arricchiscono, disturbano, variano la nostra percezione nel momento in cui ci accostiamo all’oggetto. Il giorno, l’ora, la luce, l’aria, l’odore, gli oggetti modificano la qualità dell’opera e, per la verità, di qualunque espressione dell’uomo o della natura in cui si trovino ad imbattersi i nostri sensi.

Assunto questo dato di fatto ci sono alcuni artisti per i quali la contestualità diventa un valore fondamentale, vero perno su cui ruota il lavoro, ed esistono opere che trovano compimento proprio nell’intorno che le circonda o che viene da loro contenuto. [5]

L’occasione di questa mostra di Rolando Tessadri, corrisponde a una visita, un omaggio, a uno dei maestri più importanti del ’900 che ha fatto della contestualità e dell’arte di creare ambienti, di mostrare e accogliere, uno dei suoi tratti distintivi. Carlo Scarpa progetta Casa Gallo tra il 1962 e il 1965, all’aprirsi di quelli che la critica indica come gli “anni vicentini”: ideale conclusione della sua vita personale e professionale in cui sottopone il proprio linguaggio a un processo di semplificazione formale [6], cesellando i suoi ambienti e rendendoli perfetti organismi in grado di accogliere cose e persone.

In Casa Gallo si realizzano due aspirazioni principali dell’architettura di Scarpa: creare spazi per gli uomini e per l’arte. [7] Questo edificio è un’abitazione e uno spazio espositivo e, nonostante sia in sé ammirevole e godibile (per la scansione degli ambienti, per le superfici monocromatiche che lo animano, per la luce), percorrendolo si percepisce che il suo reale compimento si trovi maggiormente nella capacità di fornire a persone e opere d’arte il miglior contesto di esistenza. Un'architettura che si nobilita nell’essere mezzo e non fine. [8]

Le tessiture di Rolando Tessadri si dispongono su queste pareti come un ospite discreto farebbe nelle stanze di un autorevole padrone di casa e condividono con le superfici scarpiane questa natura gregaria per cui l’opera si schermisce della sua centralità per rimandare al suo intorno, allo spazio, alla luce e all’atmosfera che contribuisce a creare. Anche le opere di Tessadri hanno nel rimando allo spazio un ingrediente importante, e trovano nell’impiego di luce e geometria quali elementi costruttivi, un punto di contatto con l’architettura di Scarpa.

Allestite nel suo studio trentino in preparazione di questa mostra, le tessiture bianche di Tessadri realizzavano un ambiente niveo e nebuloso, candido e vibrante. Negli ambienti di Scarpa si trovano a confronto con un maestro che ha fatto della “luce diafana” [9] indiretta e naturale (pensiamo alla Gipsoteca di Possagno e alla Fondazione Querini Stampalia a Venezia) un cifra stilistica. Si tratta di approcci che senza abdicare alle ragioni della propria arte e alla centralità del linguaggio trovano proprio in questo passo indietro una delle ragioni profonde del proprio fare. Nell’incontro tra queste due personalità contestuali saranno quindi gli effetti ambientali, luminosi e atmosferici i veri protagonisti.


[5] Carlo Scarpa afferma Io non ho fatto molti lavori ex-novo. Ho messo a posto musei e allestito mostre, operando sempre in un contesto. Quando il contesto è obbligato, forse, il lavoro diventa più facile in Dalai Emiliani Marisa, Il progetto di allestimento tra effimero e durata: una traccia per le fonti visive di Carlo Scarpa, p. 43, in Beltrami Guido, Forster Kurt W., Marini Paola (a cura di), Carlo Scarpa. Mostre e musei 1944-1976. Case e paesaggi 1972-1978, catalogo della mostra, Museo di Castelvecchio, Verona - Palazzo Barbaran da Porto, Vicenza, 10 settembre - 10 dicembre 2000; Electa, Milano, pp. 41-52.

[6] Beltrami Guido, Carlo Scarpa: gli anni vicentini (1972-78), p. 278, in Beltrami, Forster, Marini (2000), pp. 276-279.

[7] Di Meo Anna, Casa Gallo (palazzo Brusarosco), Vicenza 1962-65, in Beltrami, Forster, Marini (2000), p. 280.

[8] Los Sergio (1995), Carlo Scarpa. Guida all’architettura, Venezia - Verona, Arsenale Editrice, p. 10.
Dal Co Francesco, Genie ist Fleiss. L’architettura di Carlo Scarpa, p. 32, in Dal Co Francesco e Mazzariol Giuseppe (a cura di) (1984), Carlo Scarpa. Opera completa, Milano, Electa, pp. 24-71.

[9] Di Meo (2000), p. 280; Los (1995), p. 8, Dal Co (1984), p. 53.


Rolando Tessadri - Casa Gallo
Biblioteca Internazionale “La Vigna”
Palazzo Brusarosco Zaccaria, Vicenza, 2013
a cura di Daria Ghirardini e Gabriele Salvaterra


Link correlati

rolandotessadri.it - Allestimento in Casa Gallo
espoarte.net - Intervista a Rolando Tessadri di Matteo Galbiati
nuovavicenza.it - Il gusto di Ettore Gallo alla Vigna. E in futuro?

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